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Nota a “Liberalismo imperialista e rivoluzione egiziana”

Qui sotto trovate alcune considerazioni a margine di questo post pubblicato da Jadaliyya. L’autore, Atef Said, critica alcuni assunti alla base delle analisi di quello che definisce “liberalismo imperialista”. Si tocca un nodo cruciale, la produzione di conoscenza, anche se non condivido in toto la critica.

Ho comunque deciso di tradurlo perché quello della produzione di conoscenza e analisi sul Medio Oriente, in generale, e sulla rivoluzione egiziana in particolare è un tema che ho cercato di trattare anch’io, parlando di spettri e spettacoli. Trovo però che questa analisi difetti di canini -per non parlare della pars construens– e che ci siano elementi che rischiano di rientrare dalla finestra.

È corretto, ad esempio, dilatare nello spazio e nel tempo la comprensione della rivoluzione egiziana. Attaccare l’approccio dominante attraverso cui è stato studiato l’Islam politico è un altro punto molto importante, così come evidenziare il feticismo istituzionale e procedurale di pundits ed esperti anglo-europei.

Ma non basta. Non bisogna dimenticare che la grammatica politica del liberalismo -“la lingua biforcuta del neoliberismo“, come l’ha chiamata Maya Mikdashi- è stata internalizzata e riprodotta tanto da accademia e intelligentsia arabofona quanto da ampie fasce dei movimenti sociali, e persino dai Fratelli Musulmani. Se non si fa questo, attaccando il discorso tout court e non solo la vulgata imperialista, la dicotomia Oriente/Occidente rientra per l’appunto dalla finestra.

Si deve poi elaborare una critica radicale -materialista e anti-autoritaria- alla funzione di identity politics e area/cultural studies all’interno di singoli stati-nazione e macro-regioni del mondo, autentiche prosecuzioni dell’essenzialismo culturale con altri mezzi e metodi, tanto caro a chi i conflitti li ha sempre governati.

Infine, da un punto di vista puramente politico, è necessario riconoscere l’elefante nella stanza e domandarsi: c’è vita oltre lo stato-nazione? Oppure siamo destinati a sognare la social-democrazia del tempo che fu (per molti, ma non per tutti)?

Posted in Middle East Studies, Thawrah.

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