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Il senso comune dell’occidente per l’islamofobia

Singolare traiettoria quella del sionismo contemporaneo: costruire alleanze politiche con gli eredi culturali dei propri carnefici. Sembra che gli attentati di Oslo e Utøya abbiano rafforzato la saldatura tra destre europee e sioniste, paradossale solo in apparenza, poiché entrambe le formazioni si muovono all’interno dello stesso orizzonte discorsivo. Alla base di queste affinità elettive c’è una specifica costruzione dell’identità occidentale, che questa volta non le vede contrapposte ma impegnate a difendersi dallo stesso nemico islamico. Ma non si tratta delle farneticazioni di uno sparuto gruppo di nostalgici, neo-nazisti o fondamentalisti. Per quanto sia rassicurante crederlo, in realtà il discorso islamofobo è tutt’altro che marginale nello spazio politico contemporaneo.

Lo stesso arsenale retorico è infatti alla base dell’egemonia culturale delle destre moderate e dei loro successi elettorali, guida le scelte in materia di politica estera ed interna, forma lo schema narrativo dominante nell’industria dell’informazione, a sua volta recepito ed accettato come dato di fatto da un cospicuo segmento di opinione pubblica, del tutto trasversale alle tradizionali categorie politiche. Solo così è possibile comprendere il corto-circuito mediatico provocato dalla cattura di un europeissimo Anders Behring Breivik. Un disagio evidente se si pensa alle mutevoli e contraddittorie analisi di opinionisti e commentatori, che prima hanno seguito a testa bassa la “pista islamica” per poi ripiegare sul fallimento del multiculturalismo (rendendo implicita la critica all’Islam). L’unico punto fermo era la figura del colpevole, considerato universalmente un “folle”, un caso patologico ma soprattutto isolato.

E non poteva essere altrimenti, perché in realtà il colpevole è un autentico mostro fatto in casa. La prova definitiva l’avrebbe fornita Breivik stesso con la pubblicazione del suo manifesto (pdf/video), in cui i principali temi del discorso occidentalista vengono riprodotti con estrema coerenza: la difesa dei valori e delle radici giudaico-cristiane della civiltà occidentale, il fallimento del multiculturalismo, la minaccia di un Islam intrinsecamente retrogrado, violento e incompatibile con i suddetti valori. L’ondata di sdegno che ha travolto Mario Borghezio -che ha definito “ottime e condivisibili” alcune idee di Breivik- mirava a rimuovere dal campo una verità troppo scomoda. L’elefante nella stanza, indicato chiaramente dalle parole di Borghezio e dalle azioni di Breivik, è la deriva identitaria in chiave anti-islamica di gran parte dei paesi europei e nordamericani. I fatti avvenuti in Norvegia comunicano l’urgenza e la concretezza di quello che è un problema domestico. Non si tratta del fallimento del multiculturalismo, ma dei movimenti neo-nazionalisti che hanno fatto dell’islamofobia il proprio cavallo di battaglia.

Di questa galassia è ormai possibile tracciare una topologia dettagliata, rivelandone riferimenti ideologici e connessioni sociali e politiche. Dopo gli attentati, Gilad Atzmon ha scandagliato la blogosfera di riferimento (qui, qui e qui) scovando un post decisamente interessante perché illustra la linea politica di questi movimenti. Se è vero che ci sono parecchi argomenti mutuati dalla tradizionale retorica nazionalista, bisogna tuttavia registrare la presenza di veri e propri elementi di rottura. Altro che “croci celtiche, Odino e rock metal“. Il discorso delle destre europee non è razzista ma islamofobo, non è anti-ebraico ma pro-sionismo, non è religioso ma culturalmente cristiano, non è omofobo ma contro l’omofobia. Il discorso delle destre europee non ritorna dal passato ma è ben radicato nella contemporaneità, capace di appropriarsi di temi apparentemente in contrasto con le sue premesse ideologiche.

Una di queste novità è rappresentata dall’abbandono di posizioni razziste, sostituite da una forma di discriminazione concentrata non sulla “razza” ma sul tratto culturale. È proprio l’autore del post citato da Atzmon a rivendicarlo come un dato innovativo delle destre europee:

They represent an ideology where the importance of ethnicity is played down or dismissed completely, and the need for the preservation of Western cultural and democratic values is commonly used as the substitute key argument against immigration. Their rhetorics and activities are almost completely focused on Islam and Muslims; other immigrant groups such as Vietnamese, Chinese, non Muslim Africans and other groups are routinely painted as ‘harmless’, or even as ‘positive contributors to society’.

A ulteriore conferma di questa nuova linea, il blogger cita lo slogan del movimento inglese Stop Islamisation Of Europe (SIOE): “Racism is the lowest form of stupidity! Islamophobia is the height of common sense!”. Poco più avanti è lo stesso Breivik ad indicare la via alla nuova destra europea, prefigurando un movimento capace di incorporare persino le posizioni a favore dell’omosessualità:

[W]e have to ensure that we influence other culturally conservatives to take our anti-racist pro-homosexual, pro-Israeli line of thought.

Formazioni più tradizionaliste faranno sicuramente fatica a recepire posizioni del genere, ma si tratta di una realtà concreta. Autori come Jasbir Puar e Judith Butler hanno più volte denunciato la strumentalizzazione delle lotte del movimento lgbt in chiave islamofoba e/o nazionalista. La prima ha coniato il termine “omonazionalismo” (2007) e denunciato le tattiche di “pinkwashing” impiegate dal governo israeliano per distogliere l’attenzione dalle atrocità commesse sulla popolazione palestinese. Judith Butler ha rifiutato il premio del Christopher Street Day di Berlino per denunciare e dissociarsi dalle posizioni nazionaliste, razziste e islamofobe presenti anche all’interno dei movimenti lgbt.

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